Alan N. Shapiro, Hypermodernism, Hyperreality, Posthumanism

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Beaubourg, Quai Branly, and the Simulacrum of Jean Baudrillard, by René Capovin

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Although I am not a big Quentin Tarantino fan, I absolutely loved Inglourious Basterds. One of the things that I loved about it is that four languages – French, English, German, and Italian – all play important roles in the film.

So now for some quadrophonic Baudrillard.

We begin with an announcement in French:

Madame, Monsieur,

En hommage à la pensée et à l’œuvre de Jean Baudrillard, le musée du quai Branly organise les vendredi 17 et samedi 18 septembre prochains deux journées de rencontres et de discussions intitulées Jean Baudrillard / Traverses.

A partir des passerelles développées par Jean Baudrillard et Jean Nouvel entre architecture et philosophie, philosophes, architectes, sociologues et anthropologues débattent des concepts de séduction, d’illusion et d’échange.

Ouvertes à tous et en accès libre, ces rencontres mettent en lumière l’une des pensées les plus singulières de notre époque, celle inclassable et libre de l’auteur de plus d’une trentaine d’ouvrages, dont La société de consommation, De la Séduction, ou encore de L’échange symbolique et la mort qui sera au centre des échanges de la matinée consacrée à l’espace primitif.

Nous serions très heureux de vous accueillir au théâtre Claude Lévi-Strauss pour ces journées dont vous trouverez le programme détaillé en pièce jointe.

En espérant avoir le plaisir de vous accueillir au théâtre à cette occasion, je reste à votre disposition pour tout renseignement complémentaire sur ces rencontres.

Margot Chancerelle
chargée de production
*musée du quai Branly
222 rue de l’Université
75343 Paris Cedex 07
tel. 33 (0)1 56 61 52 82
fax. 33 (0)1 56 61 71 37

Now Baudrillard wrote a very important text about the Centre Pompidou in Paris in 1977 called L’Effet Beaubourg: Implosion et dissuasion. It was a satirical and critical text.

There were 24 speakers at this conference. With the exception of the Russian-German Boris Groys, there were no American or German Baudrillard scholars.

Now I hand over the microphone to my quadrilingual friend René Capovin.

René and I are going to work together on the project of the Museum of the Future.

Il Beaubourg, il Quai Branly e lo spirito di Baudrillard

(Further remarks by Rene Capovin in English follow at the end)
(An Abstract in German follows at the end — it still needs to be corrected)

(NOTE – 23.10.2010 – I have been told that the German translation of René’s text that I had posted here is so bad that it is unsalvagable.  So I am instead posting the original Italian text. Perhaps I will do an English translation someday.)

In questo testo, cercherò di definire le caratteristiche dello “spirito di Baudrillard” partendo da un suo famoso intervento: “L’effetto Beaubourg. Implosione e dissuasione”.

Il museo di Quai Branly, in particolare la sua esposizione permanente, sarà l’oggetto su cui misurare il possibile significato attuale dello “spirito di Baudrillard”.

Da una parte, il modo in cui Baudrillard liquida il sapere etnologico e le sue pretese di una “scienza dell’alterità” pare convergere con uno dei significati centrali dell’operazione-Quai Branly. Tale circostanza, unita al rapporto personale che univa Jean Baudrillard all’architetto del Quai Branly, Jean Nouvel, e al successo del libro che raccoglie un loro scambio di idee su “architettura e filosofia” (Baudrillard-Nouvel 2000), candida il Quai Branly a monumento baudrillardiano del XXI secolo.

D’altra parte, ed è questa la tesi qui sostenuta, l’ideologia estetica e il significato politico del Quai Branly contrastano in maniera nettissima conlo “spirito di Baudrillard” e legittimano, semmai, una lettura del Quai Branly comeremakedel Beaubourg.

Nella conclusione, sosterrò che l’opera di Baudrillard può essere configurata come una riserva, in larga parte ancora inesplorata, di tattiche scettiche: in particolare, alcune critiche al progetto di Nouvel verranno lette come involontari omaggi allo “spirito di Baudrillard”.

1. Il Beaubourg, volto mostruoso e logica della modernità

L’effetto Beaubourg, la macchina Beaubourg, la cosa Beaubourg – come darle un nome? Enigma di questa carcassa di flussi e di segni, di reti e di circuiti – ultima velleità di tradurre una struttura che non ha più nome, quella dei rapporti sociali ormai esposti alla ventilazione superficiale (animazione, autosuggestione, informazione, media) e ad un’implosione irreversibile in profondità. Monumento ai giochi di simulazione di massa, il Centro funziona come un inceneritore che assorbe e divora tutta l’energia culturale: un po’ come il monolito nero di 2001, convenzione insensata di tutti i contenuti, che qui si sono materializzati, assorbiti e annientati (Baudrillard 1977, p. 5).

Il progetto-Beaubourg dice di voler diffondere valori artistici e culturali, ma la sua verità sta nella sua dimensione di simulacro funzionale, di mega-aggeggio (cfr. Baudrillard 1968, p. 148) culturale: l’interno richiama i vecchi valori, cioè quelli dell’arte e della cultura, ma l’esterno appartiene a una logica che li liquida. Si potrebbe dire che il Beaubourg è l’America in Europa, cioè la modernità nella sua forma pura che viene a spiegarsi-dispiegarsi tra i resti della vecchia Europa. La capitale di questa modernità non è più Parigi, ma New York e – forse ancor di più – Las Vegas. Di qui l’ambiguità del giudizio di Baudrillard sul Beaubourg: all’ostilità verso il progetto culturale si contrappone un fascino per la “mostruosa” singolarità dell’oggetto – fascino che corrisponde alla seduzione provata per l’America in quanto versione originale della modernità.

la modernità: ordine attraverso la rottura

Dal punto di vista culturale, su cui qui ci concentreremo, il Beaubourg si pone come culmine del progetto modernista. Cos’è la modernità, infatti? La modernità si risolve in un processo in cui tutte le forme del passato vengono svuotate della loro sostanza e riarrangiate entro un codice in cui tradizionale eneo, vecchio e moderno, diventano alternative equifunzionali. L’assenza di un profilo valoriale proprio fa assumere alla rottura sistematica, caratteristica della specifica “modalità di civilizzazione” (Baudrillard 1985, p. 63) moderna, una funzione ordinatrice: l’inesauribilità del ciclo rivoluzionario si converte in una (paradossale) stabilità, la sistematicità del cambiamento diventa tratto atteso, prevedibile, necessario. E in effetti, che cos’è il Beaubourg di Piano e Rogers (i suoi due architetti)? Come nota lo stesso Nouvel nel dialogo con Baudrillard, il Beaubourg è stato l’esito ultimo delle “teoria funzionaliste” (Baudrillard-Nouvel 2000, p. 63), un vero e proprio hangar, un posto dove fare cose e dove far succedere cose, uno spazio plurifunzionale,niente più.

Perché una critica del Beaubourg è impossible

Ma è proprio questo il progetto culturale del Beaubourg: offrire uno spazio non segnato, ununmarked spacein cui poter culturalizzare ogni aspetto del mondo. Così, una critica del Beaubourg in nome dei contenuti che esso “esclude” è impossibile: il Beaubourg si pone come centro internazionale di “cultura e arte moderna” capace di includereogniforma di cultura, a partire da quelle “selvagge”: del tutto logico, sottolinea Baudrillard, che le prime mostre siano state dedicate all’anti-arte e all’art brut. Prendere partitocontrol’istituzione Beaubourg in nome della “vera” cultura significherebbe, quindi, prendere partitoperil progetto-Beaubourg, che essendo «un inceneritore che assorbe e divora tutta l’energia culturale» non solopuò, madeveintegrare ogni gamma culturale. In altri termini, il Beaubourg è l’istituzione della culturaedell’anti-cultura, dell’arteedell’anti-arte, e in quanto tale non può essere criticato perché non c’è niente che non vi possa trovare posto. Potremmo dire che il Beaubourg è un’istituzione culturale universale, senza “esterno”: nulla vi è escluso, né il culturale né l’anti-culturale.

il Beaubourg e il sistema dell’arte moderna

In particolare, il Beaubourg è pensato come centro di esposizione di arte moderna. Val quindi la pena ricordarebrevemente quale sia, dal punto di vista di Baudrillard, la parabola descritta dall’arte nella modernità. Impostasi come dominio dell’anti-utilitario, in conflitto strutturale con il mondo mercantile, l’arte ha mantenutola propria funzione finché ha potuto essere compresa nella “parte maledetta”, cioè come alternativa alla realtà (cioè, in primo luogo, alla logica economica). Il punto è che l’arte, «in un mondo già iperrealista, cool, trasparente, pubblicitario» (Baudrillard 1997, pp. 17-19) perde la sua ragion d’essere. Questa perdita di identità ha prodotto, nel campo artistico, un ultimo evento di indubbia grandezza: la messa in scena della propria sparizione, l’annuncio della propria estinzione (Duchamp e Warhol). Il problema è che, se ripetuta, tale messa in scena diventa simulazione della sparizione dell’arte, non è più “evento”, perde la propria pur paradossale “forma” artistica e la propria (pur rarefatta) seduzione, per diventare “complotto”, cioè complicità «occulta e alquanto turpe» tra artista (che gioca al secondo, terzo, quanto, x-livello) e masse «stupefatte e incredule».

In questo quadro di volatilizzazione della distinzione arte/non arte, in cui le provocazioni di Baudrillard paiono convergere in molti punti con la descrizione del sistema artistico offerta da Luhmann (cfr. Capovin 2008; Luhmann 1990), l’esistenza di istituzioni che certifichino “cos’è arte” sono assolutamente necessarie. Proprio la debolezza dei criteri che stabiliscono il confine tra “arte” e “non arte” rende necessaria la presenza di istituti certificatori, veri e proprigatekeeperdell’artisticità che distinguono ciò che arte da ciò che non lo è.

“allez (au) Beaubourg”

Ora, davanti a questo processo, Baudrillard non assume affatto una posizione “critica”: il suo testo sul Beaubourg attira l’attenzione, da una parte, sul significato politico e culturale del progetto, e dall’altra sulla sua “mostruosa” (e seducente) singolarità architettonica. L’atteggiamento assunto nei confronti del Beaubourg in quanto istituzione culturale universale è informato da quel “parossismo indifferente” che caratterizza il suo rapporto con la modernità:anche in questo caso, la “cosa Beaubourg” non viene “criticata”, ma osservata nella sua involuzione implosiva. La paradossale parola d’ordine di Baudrillard, quindi,nonè affatto: “Bruciare il Beaubourg!”, come si erano spinti a dire alcuni critici “radicali” (l’incendio è quasi impossibile, sottolinea Baudrillard, perché al Beaubourg ogni evento è previsto), bensì: “Lasciare chetuttivadano al Beaubourg!”. L’idea è che la reversione non sia portata da forze “selvagge” esterne a quella logica culturale (lo si ripete: “fuori”, non c’è niente), ma sia interna a un processo che è costretto a spingersi oltre i propri limiti. Così, secondo lastessalogica, Baudrillard affermerà che le Twin Towers sono crollate perchénoil’abbiamo voluto: la “simbolicità” dell’11 settembre non ha nulla di esotico, è solo un altro modo di chiamare la potenza fatale della reversione.

Critiche a Baudrillard/1

Alla luce di quanto detto, la critica di Germain Viatte (membro dell’équipe di programmazione del Centre Beaubourg/Georges Pompidou e ora direttore del progetto museologico del museo di Quai Branly; cfr. Viatte 2007) manca completamente il punto quando vede l’enorme successo di pubblico ottenuto dal Beaubourg come una smentitadel discorso di Baudrillard: per Baudrillard il successo del Beaubourg era scontato, tanto da ritenere perdente, e anzi sotterraneamente connivente, ogni intervento “critico”. La forza del Beaubourg è l’essere perfettamente funzionale alle esigenze del sistema dell’arte moderna e della modernità culturale in genere, tanto che la sua (= del Beaubourg) crisi può essere soltanto una crisi da obesità, cioè da eccesso di pubblico, da sovra-culturalizzazione.

Critiche a Baudrillard/2

Diversa la critica di Bernadette Dufrêne (2000), che sulla base di uno studio sociologico del pubblico del Beaubourg rimprovera a Baudrillard di aver appiattito sulla nozione indistinta di “massa” profili di visitatori estremamente differenziati – cosa che costituisce, ai suoi occhi, la prova fondamentale del successo del Beaubourg in quanto istituto di democratizzazione della cultura. Anche qui, però, va ricordato che Baudrillard non pensa che la “massa” sia una somma di individui indistinguibili, quanto l’esito di quella strategia di personalizzazione e differenziazione sociale che costituisce la società dei consumi e “La società dei consumi”. Nell’ultima pagina di questo libro, per esempio, Baudrillard afferma che il discorso del pop e dell’anti-pop è così facilmente recuperato dal mito della società dei consumi perché ne sono anch’essi parte integrante, essendo il mito del consumo un mito strutturale, meta-stabile, con un Dio & un Diavolo, il positivo “borghese” & il negativo “critico”. In quest’ottica, il Beaubourg si situa forse in una fase ulteriore di questa relazione, dove la negatività “artistica” deve essere direttamente garantita e stimolata dallo Stato (cfr. L. Fleury 2007), diventando così un caso esemplare di quello che N. Heinich chiama «paradosso permissivo» (il caso in cui l’istituzione ordina all’artista che vi opera di trasgredire le regole dell’istituzione stessa; cfr. Heinich2006).

Gli effetti Quai Branly

Il museo di Quai Branly è stato costruito a poche centinaia di metri dalla tour Eiffel e ospita oltre 300.000 oggetti (di cui solo 3.000 esposti), accumulatisi in larga parte per effetto del lungo dominio coloniale francese su vaste parti dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e dell’America. Si tratta di unpatrimonio custodito, fino all’apertura del Quai Branly, da altri musei parigini, tutti organizzati principalmente attorno a una logica di comunicazione scientifica. A un certo punto, questa soluzione e questo tipo di utilizzo vengono giudicati insufficienti. Il discorso di inaugurazione del Quai Branly, tenuto da Chirac ci aiuta a capire perché:

Il Quai Branly: una definizione

Questa nuova istituzione dedicata alle culture altre sarà, per coloro che la visiteranno, un’esperienza estetica incomparabile e, al contempo, una lezione di umanità indispensabile, ai giorni nostri […]. Al centro del nostro approccio vi è il rifiuto dell’etnocentrismo, di questa pretesa irragionevole dell’Occidente di recare in sé, in maniera esclusiva, il destino dell’umanità. Vi è il rigetto di questo falso evoluzionismo, la cui pretesa è che certi popoli sarebbero come bloccati in uno stadio anteriore dell’umanità, che le loro culture dette “primitive” non varrebbero che come oggetti di studio per l’etnologo o, nella migliore delle ipotesi, come fonti di ispirazione per l’artista occidentale. Si tratta di pregiudizi assurdi e sconvolgenti. Devono essere combattuti. Poiché non esiste più una gerarchia tra i popoli. È anzitutto questa convinzione, quella dell’uguale dignità delle culture del mondo, che fonda il museo di Quai Branly. […] Il museo vuole promuovere, presso un pubblico più vasto, un altro sguardo, più aperto e rispettoso […] Possa il visitatore che oltrepasserà le porte del museo di Quai Branly essere colto dall’emozione e dalla meraviglia […].

La logica dell’esposizione permanente

Si tratta di un singolare mix di programma politico-culturale multiculturalista e di ideologia estetica, che Jean Nouvel, architetto del museo e dell’esposizione permanente, declina accentuando fortemente il lato fusionale, quasi misterico, del contatto tra oggetto e visitatore:

È un museo costruito attorno a una collezione. Dove tutto è fatto per provocare l’esplosione dell’emozione portata dall’oggetto primo e dove tutto, al contempo, è fatto per proteggerlo dalla luce e per captare il raro raggio di sole indispensabile alla vibrazione, all’insediarsi delle spiritualità. È un luogo marcato dai simboli della foresta e del fiume, e dalle ossessioni della morte e dell’oblio. […] È un luogo carico, abitato, quello in cui dialogano gli spiriti ancestrali degli uomini che, scoprendo la condizione umana, inventavano divinità e credenze. È un luogo unico e strano. Poetico edèrangeant.

Il costruire non può che farsi ricusando l’espressione delle nostre attuali contingenze occidentali.Exitle strutture, i fluidi, le paccottiglie di facciata, le scale di soccorso, le guardie del corpo, i controsoffitti, i proiettori, le vetrine, i cartelli… Se la loro funzione, per forza di cose, deve rimanere, che spariscano dalla nostra vista e dalla nostra coscienza, che si cancellino davanti agli oggetti sacri per autorizzare la comunione. Facile da dire, più difficile da fare…[…]. Il giardino parigino diventa un bosco sacro e il museo si dissolve nelle sue profondità. […]. Si tratta di annullare tutti i segni trionfanti della tecnica legata al materiale d’espressione didattico, certo obbligatorio alla comprensione, ma che è deliberatamente dissociata dalla lettura dell’oggetto (in V. Lasserre, F. Pannetier (a cura di) 2001, pp. 51-58).

Beaubourg-Quai Branly: dalla retorica della modernità alla simulazione del primitivo

La macchina Quai Branly, lacosaQuai Branly, non ha a che fare primariamente con il contemporaneo, ma con il primordiale, con le prime radici culturali dell’umanità: è chiaro che la retorica e la strategia espositiva non possono essere le stesse che in museo di arte moderna. Così, se il Beaubourg si inseriva in un sistema che prevede la sistematica messa in questione del canone artistico, il Quai Branly tende a sottrarre i propri oggetti alle diatribe estetiche caricandoli di un valore politico. Qui non si tratta più di regolare l’istituzione sul ritmo della novità e della rottura, ma di legittimarsi quale esposizione del valore artistico eterno: se la parola d’ordine del Beaubourg era “reversibilità” – degli oggetti, degli spazi, del valore artistico etc. –, quella del Quai Branly è, piuttosto, “eternità”. Con un’importante annotazione: l’eterno degli oggetti sacralizzati dallo sguardo estetico è bilanciato da un programma culturale debordante, ricchissimo, che coinvolge tutto il resto dell’edificio. Nella logica complessiva del Quai Branly, il piano a-temporale si combina con la serie vertiginosa degli eventi, con un ritmo incalzante fatto di tanti “right now!”: così, il primitivo è corretto dall’iper-moderno (ricordiamo che “moderno” deriva dall’avverbio latino “modo”, che significa “testé”, “recentemente”).

Ecco allora che la contrapposizione tra la logica del Beaubourg e quella del Quai Branly lascia spazio a una convergenza di fondo: in entrambi i casi, l’obiettivo pare quello di spostare Parigi e la Francia dalla periferia al centro della rete culturale mondiale, rispondendo così, in primo luogo, a mosse di politica culturale pubblica (o meglio, statale; cfr. Fleury 2007; Sally 2007).

Arte vs. Antropologia

Nel caso del Quai Branly, questo disegno di legittimazione politica, di monumentalizzazione dell’arte “altra”, ha individuato nella mediazione scientifico-museologica il proprio ostacolo fondamentale. Portatrice di una prospettiva che, in virtù di una spiccata propensione all’auto-critica, riflette e fa riflettere (o, almeno, prova a farlo) sulla storia e sullo statuto effettivo degli oggetti esposti, l’etnologianon puòenon deveavere una posizione privilegiata, nella logica espositiva del museo di Quai Branly. Essa, inoltre, in qualità di mediazione scientifica, sembra avere, dal punto di vista di Chirac e, soprattutto, di Nouvel, un secondo grave difetto: “rompe l’incanto”. Se il visitatore deve essere colto dalla meraviglia e dall’emozione, se deve muoversi in uno spazio notturno e ancestrale, è chiaro che ogni tentativo di far passare contenuti scientifici va dosato con molta parsimonia. Proprio perché il punto di vista antropologico può portare a mettere in discussione lo statuto di questi oggetti, si è proceduto a una esplicita, quasi ostentata, disattivazione di questo codice,e ciò proprio per lasciare spazio all’avvento dell’utopia moderna di un’esperienza estetica quale comunicazione di sensibilità uguali e spontaneamente convergenti. Si può dire, senza timore di esagerare, che il Quai Branly è un museo pensatononostantel’etnologia: la cosa è attestata dalle dichiarazioni di J. Nouvel e del direttore, Stéphane Martin (cfr. intervista inLe Débat2007), ma anche, simmetricamente, dalle reazioni di rigetto manifestate dai visitatori-antropologi – un rigetto generalizzato, fondato su ragioni scientifiche ma anche etiche (cfr. buona parte degli articoli contenuti inLe Débat2007 e, soprattutto, de l’Estoile 2007).

“il ricatto”, o il paradosso del visitatore del Quai Branly

Questo riuso modernista e politicamente interessato del primitivo è alla base di quello che chiamerei “paradosso del visitatore del Quai Branly”. Il visitatore di un museo in cuidevono“dialogare le culture”deveapprezzare questi oggetti: non riconoscerli come oggetti degni di godimento sarebbepoliticamentevergognoso. Il paradosso sta qui: si entra in un museo che ha fatto di tutto per essere un museo d’arte, e al visitatore viene impedito di formulare il giudizio estetico fondamentale – cioè, se si tratti o meno di oggetti artisticamente validi. In effetti,nonapprezzare esteticamente sarebbe segno di inciviltà, di vera e propria barbarie! In tal modo, lo scarto rispetto alle regole architettoniche e, soprattutto, etnologiche e museografiche, si coniuga con l’“utopia realizzata” di una sfera artistica come spazio consensuale, fondato sull’armonia delle sensibilità degli individui che compongono una comunità. Ora, proprio in questo momento storico, in cui, come dice Michaud, «l’uguaglianza cittadina degli individui è sfociata sull’evidenza non dell’armonia delle loro sensibilità, ma dei loro disaccordi» (Michaud 1997, p. 157), quella che viene operata è la sottrazione di un determinato insieme di espressioni “artistiche” al disaccordo possibile (anzi, del tutto preventivabile, stante l’assoluto pluralismo dei criteri di giudizio). Il risultato è l’imposizione di un riconoscimento estetico in virtù di una sorta di ricatto politico: il visitatoredevericonoscere il valore di questi oggetti (1) in quanto opere d’arte e (2) in quanto opere d’arte provenienti da culture altre, ma aventi «pari dignità artistica».

Jean Nouvel, l’esposizione permanente del Quai Branly e Baudrillard

Questa analisi del significato politico e culturale del Quai Branly va ora utilizzata per valutare se e come lo “spirito di Baudrillard” sia in qualche modo operante, nel testo e, soprattutto, nell’esposizione permanente realizzata da Nouvel. Ora, certo, se si tratta di istituire un rapporto con l’alterità che non sia informato dalla logica antropologica, Baudrillard sembrerebbe l’uomo giusto. Il modo in cui Baudrillard liquida il sapere etnologico (cfr. Baudrillard 1978b, pp. 52-59) e le sue pretese di una “scienza dell’alterità” pare convergere con uno dei significati centrali dell’operazione-Quai Branly:

L’etnologia ha sfiorato la sua morte paradossale il giorno del 1971 in cui il governo delle Filippine decise di restituire alla loro primitività, fuori dal tiro dei coloni, dei turisti e degli etnologi, le poche dozzine di Tasaday da poco scoperte nel fondo della giungla, dove erano vissuti per otto secoli senza avere contatti con il resto della specie. Questo, per iniziativa degli antropologi stessi, che vedevano gli indigeni decomporsi immediatamente appena entravano in contatti con loro, come accade a una mummia esposta all’aria (Baudrillard 1978b, p. 345).

In altri termini, l’etnologia si rende conto di causare la morte del proprio oggetto, ma ogni via d’uscita anti-etnologica (nel caso citato, la restituzione dell’oggetto alla sua “sede originale”), non è che un’ulteriore spirale della simulazione: in realtà, “siamo tutti dei Tasaday” (p. 54).

Jean Nouvel e l’esposizione permanente del Quai Branly contro Baudrilllard

Il punto, però, è che per Baudrillard il primitivo e l’ancestrale restano una declinazione della simulazione anche una volta trasferite nella sfera dell’arte. Eludere la mediazione scientifica dell’antropologia per programmare una “presa diretta” estetica tra visitatore e oggetto non ha nessun fondamento nell’opera di Baudrillard. Niente è più lontano da Baudrillard di un’apologia dell’alterità sotto le insegne dello Stato culturale e dell’ideologia dell’esperienza estetica. La demuseificazione di Nouvel, invece, si inserisce entro una prospettiva che valorizza l’immediatezza intuitiva delle opere, la loro capacità di essere percepite come “arte” al di là di ogni contestualizzazione storica o antropologica (sulla critica dell’immediatezza”, cfr. Michaud 1989, p. 89). Così, se il Beaubourg era l’istituto della culturalizzazione totale e della certificazione di artisticità, l’esposizione permanente del Quai Branly è il luogo in cui viene simulata la riscoperta delle fonti autentiche dell’arte e dell’esperienza estetica. Come dice Baudrillard a proposito di Disneyland (e forse non è un caso che le critiche più aspre all’esposizione di Nouvel avvicinino la sua realizzazione alla logica dellafun house), abbiamo a che fare con una “centrale immaginaria” che rifornisce di reale ciò che le sta attorno, “un gioco di illusioni e di fantasmi: i Pirati, la Frontiera, ilFuture Worldetc.” (Baudrillard 1978b, p. 59) – e, aggiungiamo noi, il “Primitive World” & le “Arts Premiers”.

Per concludere, se l’obiettivo era quello di chiedersi se e in che senso il Quai Branly, e in particolare la sua esposizione permanente, corrispondano allo “spirito di Baudrillard”, siamo giunti a una risposta: l’esposizione permanente del Quai Branly finisce col giocare BaudrillardcontroBaudrillard.

3. Lo spirito di Baudrillard, dopo Baudrillard

L’opera di Baudrillard impone una scelta:

  1. ventriloquismo (“becoming Baudrillard”):
  2. riuso “tattico”.

come smettere di preoccuparsi e amare Baudrillard (da lontano)

Nel primo caso, si tratta di raddoppiare Baudrillard, mantenendosi fedeli al suo spirito, insieme, scettico e provocatorio (ma: chi lo può fare, adesso, radicalmente ed efficacemente?).

Chi scrive si pone dalla prospettiva del riuso “tattico”, secondo la qualedove l’opera di Baudrillard finisce, là comincia il percorso del lettore “oltre Baudrillard”. Parafrasando il Baudrillard diCool Memories, potremmo dire: “Qui comincia il resto dellanostravita”, dove per “nostra” si intende la vita di noi lettori di Baudrillard. Noi lettori di Baudrillard, come tutti del resto, siamo sempre immersi in pratiche, in progetti, in strategie e contro-strategie che sono, nella grande maggioranza dei casi, assolutamentebanali. Ebbene, in questo senso, cioè dal punto di vista di un lettorereale,situato, l’opera di Baudrillard diventa una riserva, in larga parte ancora inesplorata, di provocazioni scettiche. Nel suo sfoggio di indifferenza per la realtà possiamo indovinare i contorni di una possibile tattica: davanti all’evidenza – per esempio, del Quai Branly e della sua ideologia vittoriosa, certificata immancabilmente, come già nel caso del Beaubourg, dal successo di pubblico – si tratta di opporre l’incertezza. Si tratta di instillare il dubbio su cos’è successo, su cosa sta succedendo e, soprattutto, su cosa succederà, nel “bosco sacro” e nel mondo circostante.

“il sospetto”, o la matrice di tattiche scettiche

D’altra parte, è qualcosa che Baudrillard ha già fatto; anzi, per molti versi, è quello che Baudrillard hasemprefatto.

Ricordate?Prima: “La guerra del Golfo nonavràluogo”;durante: “La guerra del Golfo nonhaluogo”;dopo: “La guerra del Golfo nonha avutoluogo”.

O l’ipotesi (in Baudrillard 1978a), “improbabile e inverificabile [!]”, che la “maggioranza silenziosa” non abbia “sostanza”, ma sia il punto di convergenza dei flussi che la interrogano, l’effetto della stessa proiezione statistica che, simulando, produce risposte tautologiche.

O, ancora, il dubbio (Baudrillard 1996, p. 61) che le masse partecipino al “complotto dell’arte” senza crederci, opponendo una specie di resistenza passiva. Così, certo, l’arte contemporaneaparrebbeavere ancora successo; ma chi dice, dubita Baudrillard, che non si tratti di apparenza? Solitamente si postula un consumatore irretito nelle strategie di marketing, ma tale postulato è, appunto, un postulato, e come tale indimostrabile: quello che si vede sono delle masse che accorrono nei musei, punto. Ma perché ci vanno? E fino a quando ci andranno? Forse, il “complotto” è molto meno solido di quel che sembra…

James Clifford e le contro-correnti storiche

Così, il commento sull’esposizione permanente del Quai Branly di James Clifford (2007), uno dei più famosi antropologi contemporanei, può essere vista come un paradigma di tattica scettica. A differenza della maggior parte degli antropologi di tutto il mondo, animosamente scagliatisi contro l’esposizione permanente di Nouvel in nome di idee e intuizioni largamente influenzate proprio dallasua(= di Clifford) opera, l’antropologo americano mantiene nei confronti dell’esposizione e del museo nel suo complesso un atteggiamento più sfumato, talora quasi conciliante. AlJ’accusenei confronti di quello che è, ormai, un dato di fatto, Clifford preferisce una narrazione sfaccettata, tesa soprattutto a spostare il dibattito e l’energia degli antropologi sul futuro dell’istituzione:

Lo spazio dell’esposizione permanente del Quai Branly è stato al centro dell’attenzione, essendo l’elemento più spettacolare del progetto. Coloro che ne criticano il neo-primitivismo e l’estetismo trovano molto da ridire. Non hanno torto. Ma forse è semplicistico leggervi un testo familiare, compiuto, mettendo in ombra così le contraddizioni, le tensioni e il potenziale di un progetto di più ampia portata, esposto a delle continue contro-correnti storiche [ivi, p. 30].

Richiamarsi alle contro-correnti storiche è una forma di scetticismo attivo. Clifford capisce benissimo cosa vuole significare il Quai Branly, ma mostra che quella volontà (politica, estetica e anti-scientifica) è meno forte di quel che potrebbe sembrare. Così, invece di articolare una classica “critica”, Clifford punta a sottolineare come gli equilibri reali possano spostarsi: il Quai Branly, come qualsiasi istituzione, è esposta al tempo e le forze che appaiono, inizialmente, invincibili, possono diventare improvvisamente fragili.

Chiaramente, questa strategia, al contempo realista e attendista, ha poco a che fare con il radicalismo paradossale di Baudrillard, ma qui sta tutta la differenza tra ventriloquismo e riuso “tattico”, “locale”. Ha ragione Yves Michaud: «Forse solo Jean Baudrillard, vero pirroniano, si fa beffe davvero di tutto perché per lui non ci sono più credenze» (Michaud 1997, p. 156). Ma chi può raddoppiare fino in fondo Jean Baudrillard? Chi può avere successo nel “becoming Baudrillard”? E anche se qualcuno ci riuscisse…chi lo leggerebbe?

Sally Price e le correnti fatali della Senna

Sally Price (2007) sceglie una strategia opposta a quella di Clifford: il suo è un pamphlet documentatissimocontroil Quai Branly. Ma per chi ha immaginato il collasso del Beaubourg per eccesso di pubblico, per chi ha visto crollare le Twin Towers, per chi, pur immerso nelle strategiebanali, ha imparato a seguire le vie paradossali delle strategiefatali, leggere quanto riportato dall’autrice (Price 2007, p. 211, n. 5) – cioè che, secondo vari critici, le strutture sotterranee in cui vengono conservate le centinaia di migliaia di reperti sarebbero uno degli aspetti più problematici del Quai Branly, tanto da essere a rischio in caso di esondazione della Senna – provoca uno strano effetto… “Effetto Baudrillard”?

BIBLIOGRAFIA

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VIATTE, G. 2007 Le Centre Pompidou. Les années Beaubourg, Paris: Gallimard

FURTHER REMARKS BY RENE CAPOVIN IN ENGLISH

The critical remarks articulated by Baudrillard against anthropology as a science of alterity/otherness (as opposed to radical exotism) converge with the main cultural meaning of the Quai Branly. It is a farewell to the scientific museum, where objects were displayed as documents of other civilizations. Quai Branly applies to the art museum the idea that the visitor has to be displaced from his “distance from the object” and exposed to the presence of primitive art (and primitive cultures). If we add to this the advertised friendship between Baudrillard and Nouvel and the conversation-book that they published together on “architecture and philosophy” in the year 2000, one could take Quai Branly for the Baudrillardian monument of the twenty-first century.

I wrote this essay in 2008, doing a sort of preventive criticism (or a trial against intentions). There were a lot of hints of this Quai Branly and “simulation of Baudrillard” convergence, but there was not yet an «ultimate proof» of an objective convergence between this metastable institution and the cultural simulacrum of Baudrillard. Nobody had yet said: «This museum is what Baudrillard would have done», or things like that. Quai Branly is not the Louvre, it is the anti-Louvre, the source of “the cool” and the anti-academic (see Thomas Frank, The Conquest of Cool).

My argument is that Quai Branly is a remake of Beaubourg, in a different field of art. Whereas Beaubourg is a perfect institution in the field of modern art (as Baudrillard himself explicitly and passionately says – the first part of my essay is dedicated to his famous 1977 article on Beaubourg), Quai Branly is a perfect institution in the field of «primitive art». The original name of Quai Branly was «Musée des Arts premiers», but they changed the label because it was too honest and too little politically correct. They didn’t change the concept, of course. They changed the label. If everything had to be virtually included in Beaubourg, Quai Branly flips (as Marshall McLuhan or Arthur Kroker would say) into the opposite: the creation of a separate, sacred space where one is called upon to find the roots of human artistic expression.

Here we find the origin of what I call «the paradox of the Quai Branly visitor»: if, normally, art is exposed to critique or refusal (a large part of modern art is grounded in this), objects which are exposed at Quai Branly MUST BE APPPRECIATED. If you do not participate in this appreciation, if you do not consent to this state-capital cultural-consumerist imperative, you are someone who does not recognize the artistic roots of humanity. You are a sort of enemy of humanity. Baudrillard wrote many volumes about this sort of enforced “humanism” stuff, for example in his great book L’illusion de la fin (1992). Here the demand is made on the contemporary cultural citizen: JUST EXPERIENCE IT. There’s nothing to understand and nothing to add. It is a form of «primitivist» ideology which appears to me very far from Baudrillard, just like any pretension to «realize» seduction. So this institutional (and well paid) seduction is in reality a form of simulation.

On this cultural-aesthetic ground flourishes a machine of cultural events. Here we have the closing of the circle. In principle, nothing that is cultural can be excluded from the Quai Branly. Exactly like Beaubourg as described by Baudrillard in 1977, it is an immense, omnivorous incinerator of culture.

Welcome to the simulacrum of Jean Baudrillard.

René Capovin originally presented this essay as a lecture at the Baudrillard conference in Mainz, Germany called L’actualité de Jean Baudrillard that took place on October 25 & 26, 2008 at the Antiquariat am Ballplatz. The conference was organized by Dr. Caroline Heinrich.
ABSTRACT AUF DEUTSCH

Ausgehend von Jean Baudillards bekanntem Essay “Der Beaubourg-Effekt. Implosion und Dissuasion” werde ich in meinem Aufsatz versuchen, die Charakteristika des “Baudrillard’schen Geistes” abzugrenzen.

Das Musée du Quai Branly – vor allem seine Dauerausstellung – wird der Gegenstand sein, an dem die aktuelle Bedeutung dieses Geistes bemessen wird.

Auf der einen Seite scheint Baudrillards Methode, das ethnologische Wissen und die Ansprüche einer “Wissenschaft der Alterität” aufzulösen, mit einer zentralen Bedeutung der Operation “Quai-Branly” zu konvergieren. Dies und die persönliche Beziehung, die Baudrillard mit Jean Nouvel, dem Architekten des Quai Branly, verband, sowie der Erfolg des Buches, das ihren Ideenaustausch über “Architektur und Philosophie” versammelt, scheint das Quai Branly als baudrillard’sches Monument des einundzwanzigsten Jahrhunderts aufzuweisen.

Auf der anderen Seite – und dies ist die hier vertretene These – stehen sowohl die ästhetische Ideologie als auch die politische Bedeutung des Quai Branly eklatant in Widerspruch zum “Baudrillard’schen Geist” und legitimieren bestenfalls eine Lesart des Museums als Remake des Beaubourg.

In der Schlussfolgerung werde ich den Standpunkt vertreten, dass das Werk Baudrillards als ein Reservat skeptischer Taktiken konfiguriert werden kann, die in weiten Teilen noch unentdeckt sind: insbesondere sollen einige Kritiken an Nouvels Vorhaben wiedergegeben werden – als unfreiwillige Huldigungen an den “Geist Baudrillards”.

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